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(dal blog di Nino Guzzi)

 

Tra gli addetti ai lavori del mondo musicale, e di quello artistico in generale, si discute spesso del sistema italiano per la tutela dei diritti d'autore, basato sostanzialmente sull'organismo della SIAE (Società Italiana degli Autori e degli Editori).
Se si vuole far riconoscere la paternità della propria opera esiste sempre il vecchio sistema, a costo zero, della raccomandata contenente il proprio cd, libro, composizione, autoinviata e mai aperta fino all'eventuale contenzioso.

Poco usato ma dovrebbe avere una qualche valenza legale.
Oggi, grazie ad Internet, c'è un nuovo metodo molto interessante, veloce e flessibile, quello delle
Creative Commons, che permette di registrare le proprie opere dopo averle depositate in un archivio online definendone anche l'uso che ne possono fare coloro che ne vogliono usufruire.

Con questo sistema è ovvio che si sta solo tutelando la propria musica, se ne sta dichiarando la paternità e la proprietà. Nel caso in cui qualcuno voglia utilizzare la vostra opera, vi accorderete sul compenso. Un dubbio si attaccherà come una sanguisuga ai vostri pensieri visto che la SIAE, ad esempio in un locale dove c'è musica di sottofondo o si tengono concerti, o anche in quei luoghi pubblici dove si proiettano film, sarà comunque pagata per la serata da quella persona e a quel punto uno pensa, vabbè allora tanto vale registrarsi per usufruire anche dei compensi derivanti dalla trasmissione della propria composizione.

Il ruolo della SIAE è tutelare e gestire le opere regolarmente registrate, concedendo o autorizzando la loro utilizzazione o riproduzione, percependo per ciò un compenso da chi vuole usare per qualsiasi motivo questi prodotti artistici, ripartendo poi tra gli autori il denaro raccolto, tra le finalità vi sarebbe anche quella della valorizzazione degli autori minori che hanno meno risorse, un'utopia. Alla luce della situazione attuale quest'ultimo è uno degli elementi che deve far riflettere soprattutto la politica annebbiata che ha demandato ad un solo ente privato la tutela e la valorizzazione della cultura che dovrebbe agire, per le sue caratteristiche, da società pubblica, quando in realtà è lampante come l'interesse di pochi e navigati prevalga su quello della collettività. Nulla di nuovo sotto i cieli italiani.
Essa agisce in regime di monopolio, ciò significa che è l'unica società italiana formalmente riconosciuta che può svolgere questa funzione.

Nel consiglio di amministrazione sono più che rappresentate le major e gli editori mentre gli autori (che ovviamente sono solisti) hanno un minor peso, se non quasi nullo; in effetti ciò che ne consegue da questo tipo di management è una griglia con criteri di ripartizione dei compensi a dir poco ridicola, con aspetti burocratici (come l'annullamento di un borderò intero per un solo nome scritto male) o l'uso della ripartizione a campione (stilato dalla stessa SIAE e non da terzi) che sembrano essere creati ad arte per fare in modo di poter gestire una massa di denaro (640,5 mln di euro di ricavi nel 2006 e 11 milioni di attivo nello stesso anno) secondo una politica altamente discrezionale quando non nociva della maggior parte dei membri.

Un altro aspetto interessante è quello relativo all'esborso degli autori per iscriversi, per poi pagare una quota annuale. Si tratta di cifre che visto le difficoltà dei ritorni dei diritti ai piccoli autori diventano un macigno, se non economico, quantomeno morale.

Fortunatamente in soccorso viene il mercato europeo, così ognuno può eventualmente tutelarsi con la tedesca
GEMA, la francese SACEM, la spagnola SGAE, la SUISA svizzera. Si va dai 15 euro di iscrizione della SGAE ai 100 franchi (circa 67 euro) della SUISA fino ai 116 euro della SACEM.
Il consiglio è di chiedere, inviare email, informarsi per conoscere i costi d'iscrizione, di deposito delle canzoni, come e quanto viene ripartito agli autori, la SIAE su alcuni punti appare più che latitante, ed in molti lamentano l'inettitudine, quando non assenza, dei dipendenti delle segreterie.

Iscriversi però ad un'altra società non significa aver aggirato la SIAE, infatti se le proprie produzioni vengono utilizzate in Italia sarà sempre la SIAE, grazie ad accordi internazionali, a raccogliere i diritti, trattenerne una parte relativa ai costi di gestione, per poi girarli alle altre società straniere. Un passaggio in più non può che essere deleterio per l'autore.
Forse la vera e unica differenza tra la SIAE e le società straniere (dimenticando i costi di membership, burocrazia, deposito, bollino blu ecc...) è la sua inefficienza, sembra quasi essere un suo obiettivo e del resto è utile ed ideale per chi ha già un ruolo chiave nel mercato discogratico, editoriale.

Comunque, se volete capirci qualcosa in più sul funzionamento dell'oligarchia italiana che gestisce e ripartisce i diritti d'autore italiani, vi consiglio di leggere l’intervista di Report intitolata
Il Sottofondo della Siae con video scaricabile.

LA TUTELA del DIRITTO D’AUTORE oltre la SIAE

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